Uno sguardo possibile.
Non pertugi. Lo sbarramento alla fuga, anche alla più timida, attiene qui al gesto del racconto interiore, alle pulsioni e allo stremo cercare riposo.
L’occhio si apre su stati d’animo imbavagliati dalla lotta, dal conflitto in cui si spargono cuore, amaro, tensioni, sonorità e finalmente piccole soste.
Tutto avviene al chiuso perentoriamente entro il recinto dell’animo: traslochi e sobbalzi, ansia, sprofondamenti e palpiti sono custoditi dall’invisibile sorveglianza della scolta della ragione, del pensiero.
Attento a non superare i limes, il sollevarsi delle onde è potente, attenuando il tentativo di ordinale secondo maree e risacche prevedibili.
Così le intense emozioni, fattesi cromatismo, forma, segno, si sfrangiano nell’urtarsi, si affastellano, si sgretolano, si sovrappongono, si ritraggono per un attimo in una estenuante convivenza di energie in contrasto. Mentre tracce scavate a solco divengono cingoli che attingono a insurrezioni del sentimento.
Nel nascosto dell’anima si aprono stanze di rossi, neri, bianchi che si contendono superfici abrase, pronte a una rissa senza il passo della tregua.
Così per i gialli e per i grigi assordati da svolte improvvise di biacca.
E intanto l’impasto catramoso, oscuro, tenta ancora di ribellarsi alla solidificazione mentre viene attraversato da un’unghiata che non scomparirà.
Padronanza tecnica, robustezza di progettazione, raffinatezza delle soluzioni espressive permettono a Rodolfo Lepre un nomadismo di forme e colori che inducono lo sguardo a intrappolarsi in un viaggio circolare senza soste né meta.
Bianco per l’evocazione dei rastrellati dischi solari che, risucchiandolo, obbligano l’occhio, soltanto apparentemente, a sfiorare forme centrifugate, lacerti a comporre iconografie del sé.
Raramente nella mano dell’artista si congelano brevi silenzi e piatti abbandoni assediati dalla ruvidezza di arcaiche e vibranti scritture a intreccio, la cui esistenza è affidata all’intelligibilità della loro ombra.
E ancora bianco, finemente solcato in giardini zèn, per placare l’irruente tenacia dei moti dell’animo.
Materiali inerti, colle, cementi interrotti da delicati bradisismi, pigmenti, ci chiamano all’ascolto di un linguaggio espressivo particolarmente interessante in bilico tra la necessità di cedere all’ardore del fuoco e la sapiente difesa che ha il sapore della cenere.
Isabella Deganis
Artista e Studiosa di Storia dell’Arte
A possible glance
No gaps. The barrier against escape, even the most timid attempt to escape, has to do here with the gesture of inner life, the urges and the final search for rest.
Isabella Deganis
Artist e Scholar of Art History